Chiusi nelle nostre case ci lasciamo appena sfiorare dalla primavera che incombe.
Primavera: tempo di rinascita. Per molti di noi quest’anno, tempo di dolore e di morte.
Ciò ci induce a riflettere nei silenzi delle nostre case al mistero della vita.
Ci affacciamo a questo mondo sospinti dalla volontà altrui. Iniziamo un cammino misto di gioie e di difficoltà, spesso di dolore. Le gioie che abbiamo, però, valgono i nostri affanni: dal nulla siamo stati chiamati ed approdati alla vita, dal non-essere all’essere, dal nulla al tutto. Intorno a noi il mondo cammina e ci coinvolge nel suo andare facendo di noi dei protagonisti nel suo evolvere. Da quando siamo nati esso non è più lo stesso: ha una vita in più e, quindi, è più perfetto. Esso ha bisogno del nostro apporto per essere tale.
Inizia un cammino lungo, accidentato, che neppure con la morte vedrà la sua fine. Sì, perché, tu ci creda o meno, ormai non finirai più. Dio ha disposto per te un’eternità che non vede tramonto. Il corpo potrà anche tornare ad essere polvere, ma lo spirito vivrà in eterno. Dio lo accoglierà di nuovo in Sé perché da Lui proviene.
Son queste le “parole di vita eterna” che il Cristo è venuto a portare e Pietro, questo pescatore onesto, indurito dalle fatiche della vita, ha saputo cogliere l’essenza del messaggio del suo Maestro. Il linguaggio del Cristo è spesso duro, difficile a comprendersi, anche per noi che generazioni e generazioni di saggi uomini hanno cercato di istruire. Il povero Pietro non capisce fino in fondo, non può capire, ma sa che in quelle parole sta tutta la speranza dell’uomo. In esse capisce che la sua esistenza non avrà fine; c’è un’eternità che lo aspetta, un Cuore grande che ha creato il mondo e che vuole che tutto in Lui ritorni per godere di una gioia eterna.
Allora non importa se non si capisce fino in fondo; è sufficiente accontentarsi della Sua parola, perché è una parola che non tradisce, è una parola veritiera, una parola spesso dura, ma che spalanca la vita eterna.
Marino da Arezzo